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quarta-feira, 4 de novembro de 2009

Cucina siciliana


Un piatto tipico della cucina siciliana - il tonno alla siciliana
Categoria: secondi
Tempo di cottura: 40 minuti
Difficoltà: media

Ingredienti, dosi per 4 persone:

sale
½ l di vino bianco
pepe
rosmarino
succo di limone
6 acciughe sotto sale
pane grattuggiato
olio d'oliva
spezie
800 g di tonno fresco
Preparazione:
Mettere il tonno in una zuppiera, salarlo, peparlo e insaporirlo con le spezie, coprirlo con il vino bianco e lasciarlo marinare per circa due ore. Tritare il rosmarino e l’aglio. Sgocciolare bene il tonno dalla marinata e con un coltello praticare delle incisioni nelle quali infilare il trito preparato.
Ungere il tonno con parte dell'olio, fare scaldare molto bene a fuoco vivace una piastra, disporvi il pesce e farlo dorare da ogni lato.
Quando avrà preso un bel colore spolverarlo con il pane grattugiato e proseguire la cottura a fuoco moderato per farlo cuocere bene anche internamente, bagnare di tanto in tanto con il liquido della marinata. Dissalare e pulire le acciughe. Mettere un po’ d’olio in una piccola casseruola, unire le acciughe e farle spappolare a fiamma vivace.
Emulsionare bene il succo di limone alla salsa di acciughe e versare il tutto sul tonno già sistemato su un piatto da portata. Servire ben caldo.

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La Sicilia a tavola - un viaggio all’insegna dei sapori e delle tradizioni popolari
La cucina è l’amalgama perfetto delle influenze delle diverse culture che sull’Isola si sono avvicendate. Più che un giacimento culturale, è il tratto più resistente di una cultura. La tavola, rimane, il luogo d’introspezione delle diverse civiltà che sono passate sull’isola. Un piacere antico, se già Platone, ospite a Siracusa, criticò quei cittadini rei, ai suoi occhi, “di mettersi a tavola più volte al giorno”.

Cucina siciliana? Ce ne sono tre: la patrizia o baronale, quella popolare o di reinvenzione spiritosa e quella di strada o dei “buffittieri”, come si chiamavano un tempo, derivando l’appellativo dal francese “buffet”. Una enorme ricchezza e varietà di piatti giacché ogni città, paese, famiglia ha sempre avuto una sua interpretazione di ogni ricetta, conseguenza dello spiccato individualismo isolano. Mentre i “Monsù”, i cuochi delle grandi Famiglie, celebravano nei Palazzi, cernie e sogliole, lepri e capponi, a quelli di sotto arrivavano gli odori o le descrizioni meravigliose fatte dalla servitù. Con fantasia e ingegno quei piatti furono reinventati con ingredienti spesso miserabili. Le sarde, diliscate, assursero al rango di sogliole, “lenguado” nello spagnolo dei nobili, era la sogliola. Nacquero così le sarde “a linguata”.

Opportunamente acconciate diventarono pure “beccafichi”, uccelletti simili alle capinere che i “Monsù” servivano in bellavista. Si travestirono le melanzane da “quaglie” e pure da “parmiciana” che in dialetto è la persiana. Nulla a che vedere con Parma ed il suo cacio. E sempre con la melanzana nacque la regina della cucina popolare, la “caponata” in una salsa agrodolce, originaria della cucina di corte della Persia preislamica.

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